In Biblioteca Comunale si conserva una copia della lettera
con la quale il pittore propone di donare al Municipio il dipinto, ancora da
eseguire, per estinguere un vecchio debito trentennale di famiglia:
<<...Comune di Bologna / Anno 1811 / g: 10 Agosto, Al Sig: Podestà della
Comune di Cfranco... / Francesco Olivetti Pittore... [con] moglie e
tre figli... [dichiara che la sua situazione] ...rende totalmente
impagabile l'estinzione dell'antico ereditato mio debito verso questa Comune
per conto d'affitti. ...esibisco sig: Podestà, a saldo del medesimo il
lavoro di un quadro ad olio... offrerendomi di assoggettarle nel più breve
possibile termine il Bozzetto colorito per la di Lei approvazione, e di dare
il Quadro completato alla Comune entro anni due [per] ...dotare
[?] questa Comune di un Monumento consacrato al più grande dei
Sovrani...>> (BCCV, 1811, ms. 285 R-66, 30 895 R.I.). Il primo a
menzionare l'opera è il Crico, in una lettera ad Antonio Diedo del 31
ottobre 1832 : <<Ed analogo a' doni anzidetti e qual saggio di patrio
amore può considerarsi un quadro di soggetto allegorico, che dipinse anni fa
Francesco Olivetti... quadro di assai bella invenzione, condotto con grande
ingegno, comeché di languido colorito, e che il medesimo Olivetti offerse in
dono alla Deputazione comunale di Castelfranco, ed è esistente nelle stanze
di sua residenza>>. (Crico L., 1833, p. 298). Dopo più di due decenni,
il dipinto è menzionato dall'ingegnere civile A. Barea (BCCV, Barea A.,
1858, ms. 2 R-2, 17 138 R.I.) ed inserito nell'elenco delle opere d'arti
meritevoli steso dalla Deputazione Comunale di Castelfranco (Andretta,
Montini, 188, ms. 3 R-2, 17 139 R.I.). In un foglio di carta volante infine,
forse risalente alla seconda metà del XIX secolo, sempre conservato in
Biblioteca, risulta: <<Nel Palazzo Comunale... / Uno dell'Olivetti...>>.
Come ci aiuta anche la lettera del 1811, la tela raffigura
L'apoteosi di Napoleone, soggetto forse voluto, durante l'occupazione
francese, pure dallo stesso Matteo Puppati, allora podestà della Comune,
come induce a pensare l'assunto programmatico e la complessità della
raffigurazione. L'opera rimase esposta nelle sale municipali anche dopo il
passaggio della città sotto gli austriaci (1814). La deificazione avviene
all'interno di un tempio rotondo di architettura monumentale (il tempio
dell'Eternità) aperto in alto, ad imitazione del Panteon, e decorato con un
fregio istoriato a bassorilievo esprimente i fasti dell'imperatore, che si
snoda continuo sopra i quattro giri di peristilio delle colonne dal
capitello egizianeggiante. Sulla sinistra, Napoleone, novello Alessandro
lisippeo (e sembra in realtà Apollo), in vesti classiche, si volge verso la
Fama, in atto di sortire dalla volta del tempio suonando la tromba. Al di
sopra del protagonista, la statua dell'Eternità (simbolo anche
dell'immortalità) appare seduta sopra un altare eminente, circondata dai
Secoli (?) e da Apollo, in atto di prendere il Secolo d'oro ed offrirlo a
Napoleone, felicitando così la terra. Sotto a sinistra, la Natura (?) si
rallegra (?) ad una tal vista, mentre il Fato (o il Destino), seduto sopra
il primo gradino dell'altare, accenna con una mano alla catena madre degli
avvenimenti (il cui primo anello si perde fra le nubi), dipinta sulla tela
che tiene sollevata con la mano destra; ai sui piedi il caduceo di Mercurio,
simbolo delle arti e delle scienze, che il celebrato protegge. Al centro, la
Vittoria in atto di piantare sull'ara (che reca le onnipresenti stelle a
cinque punte - volute sempre a suggello di siffatte apologie, le serpi
dell'eternità, le spighe dell'abbondanza ed altri emblemi napoleonici) il
ramoscello d'olivo, simbolo della pace. Attorno a questa, la Gloria ed altre
figure allegoriche. Dietro, tra l'altare e l'ara, altre figure ancora
spargono i profumi sul tripode. Davanti al giro di colonne s'ammassano
sacerdoti e personaggi dell'antichità classica, tra i quali pare di poter
individuare Omero cieco e forse Aristotele (o Socrate).
Il dipinto, in buono stato di conservazione, grazie anche al
restauro a cui è stato sottoposto in occasione di questa mostra, è
decisamente un'opera ammirevole, sia per la qualità che per il soggetto, tra
le più notevoli della Raccolta Comunale e, sicuramente, della produzione
stessa dell'artista. Francesco Olivetti, come ricordano diversi cronisti del
passato (cfr. Federici D.M., 1803ca., ms. 343 L-4, 30 886 R.I., p. 8;
Federici D.M., 1803, rist. 1978, II, p. 187; Crico L., 1833, p. 298; Puppati
L., 1860, p. 46), ebbe i suoi primi insegnamenti di pittura nel veneto poi,
ancora giovane, si trasferì a Bologna, dove passò gran parte della sua vita,
e lì continuò i suoi studi, che dovettero certamente metterlo in contatto
con i Gandolfi (Gaetano, ma soprattutto Mauro). Fu un lodevole pittore di
soggetti storici. Una sua pala rappresentante <<Santa Caterina della
Rota>> viene ricordata nella chiesa di San Giacomo in città (?); altre
sue opere vengono ricordate a Treviso.
Provenienza:
Municipio Comunale, Castelfranco Veneto (TV).
Bibliografia:
Crico L., 1833, p. 298; Favero E., Pellizzari V., 1895, p.
35.
Restauri:
Studio Emmebi di M.B. Girotto, 1997. |