Seppure non è stata rinvenuta alcuna documentazione antica
riguardante questo dipinto, è alquanto probabile che negli ultimi cent'anni
almeno abbia avuto una sorta di ruolo di rappresentanza per la città, quindi
sia rimasto collocato nel Palazzo Municipale, dov'è tutt'oggi custodito. Il
suo stato di conservazione è buono, come si è attestato anche con il
restauro del 1985, col quale, dopo il rifodero, si è sostanzialmente
provveduto ad una leggera pulitura, al reintegro delle piccole e rare
lacune, ed infine alla riverniciatura.
La tela raffigura per intero il lato principale, quello verso
est, della cinta muraria di Castelfranco. Vale la pena sottolineare subito
come la veduta riprenda la stessa inquadratura, nelle architetture, con un
carattere decisamente più realistico, di quella incisa dal Coronelli circa
il 1694, più o meno un secolo prima (cfr. scheda n. 61). Rispetto a questa,
al di là della maggior fedeltà, sostanziali differenze si rilevano nella
posizione del gonfalone marciano e del cippo con il Leone di San Marco,
nella pavimentazione della piazza, nella presenza della vegetazione nel
dipinto, e nella torre "davanti", dove sotto all'orologio vi è il lunario e
sulla cima della torre leggere diversità. Il Leone marciano posto sopra
l'orologio è nel quadro sintomaticamente senz'ali e con la coda abbassata,
come quello posto sul cippo. Il Tescari, in una copia manoscritta di un
testo del Melchiori, conservata nella Biblioteca Comunale di Castelfranco,
illustrata da numerosi disegni con vedutine della città, in uno di questi
riprende la stessa inquadratura del castello inspirandosi visibilmente,
nonostante piccole differenze, alla nostra tela: questo disegno rappresenta,
indirettamente, la prima testimonianza rinvenuta relativa al dipinto qui
presentato.
Come nel Coronelli, anche qui la veduta si ferma volutamente
solo sulla facciata della cinta muraria, omettendo di raffigurare qualsiasi
altra architettura al di là, compresa la cupola del Duomo (forse perché era
ancora in fase di costruzione) e la torre dei "morti". Interessante inoltre,
come testimonianze storiche, rilevare sopra la porta della torre,
chiaramente visibile un frontone con timpano, forse ciò che rimaneva degli
affreschi eseguiti dal Castagnola sulla facciata. Come sulle facciate di
Palazzo Piacentini, al di fuori della torre a sinistra, decorate con le
guglie fastigiali, pare di intravedere un mescolarsi di colori sulle sue
pareti, forse quel che restava delle ricche pitture ricordate dal Melchiori
ed eseguite da Pietro Marescalchi da Feltre o dal nostro Giovan Battista
Ponchini.
Particolarmente gustosa nell'insieme, ed unica nel suo genere
tra le opere antiche sino a noi giunte, ci mostra uno squarcio della vita
della nostra città alla fine del XVIII secolo, probabilmente prima della
caduta della Serenissima Repubblica, vista la presenza dei simboli della
Veneta Signoria, seppure mutili nel Leone: a meno che questa particolarità
non ci suggerisca di collocare il dipinto tra il 1797 e l'anno in cui i
francesi eliminarono il gonfalone ed il cippo (ma le vesti portate dai
personaggi raffigurati sembrano essere di alcuni anni prima). <<Nella
bastia passeggiano i nobili, le bautte con i cagnolini. Pare tempo... di
mezza quaresima. C'è... [un carro] con tiro a otto e il
casotto dei burattini... Il lavoro agreste, con l'abbeveraggio dei buoi è
al di là della riva. Pare non esista il turbamento delle classi, ma la
sociale concordia, anche se, tra i nobili e i borghesi da una lato e i
contadini dall'altro, corre di mezzo l'acqua dell'Avenale>>, così il
Bordignon Favero commenta la calma giornata di mezzogiorno (ce lo indicano
le lancette dell'orologio) nella Castelfranco di due secoli fa (Bordignon
Favero, 1975, I, p. 146). Curioso sottolineare la presenza dei monaci sulla
destra, del "pastorello giorgionesco" dietro a loro, al di là delle fossa, e
di quella emblematica figura bianca al centro, proprio in corrispondenza
della torre "davanti", che con un'asta indica in alto. Così come singolare è
la costruzione con timpano sull'estrema destra del dipinto.
Sul carro che trasporta merci in basso a sinistra, su di una
targhetta bianca, il dipinto reca una sigla: <<F. R.>> con ogni
probabilità, seppure l'ultima lettera, non chiaramente leggibile, potrebbe
essere anche una <<A>> o una <<B>>. Sono sicuramente le
iniziali di chi ha dipinto il quadro, che deve essere stata una persona dal
gusto molto raffinato e ricercato, ma che si dilettava in pittura. Infatti,
la qualità esecutiva appare mediocre; quindi ogni tentativo di riferire
l'opera ad un determinato ambiente artistico, che non sia quello veneto
tipico dell'epoca, è infruttuoso. L'autore va forse cercato tra gli stessi
cittadini di Castelfranco: un amante ed intenditore d'arte, come poteva
essere, per fare un nome puramente a titolo indicativo, un Francesco Riccati
(che muore nel 1791), ma non propriamente un pittore. Impossibile quindi
l'identificazione, se non per caso fortuito, grazie al rinvenimento di
documenti chiarificatori.
Bibliografia:
Bordignon Favero G., 1961, p. 45; Brusatin M., 1969, pp. XIV,
241; Rotary Club, 1971, p. 30, n. 7; Bordignon Favero G., 1975, I, pp. 146,
147, fig. 10; AA.VV., 1982, II, p. 60; Dal Pos D., 1984, pp. 27, 28; Banca
Popolare di Castelfranco V., 1985, pp. 18, 19; Puppi L., 1990, pp. 34, 373,
fig. 2; Cecchetto G., 1994, p. 13; Bordignon Favero G., 1996, pp. 34, 35;
Dal Pos D., 1997, pp. 31, 54, 55.
Restauri:
P. Fabris, 1985. |